* AJAIB SINGH *

(1926 – 1997)

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AJAIB SINGH BIOGRAFIA

Sant Ajaib Singh Ji Maharaj, l’autore di «Ruscelli nel deserto», nacque in una famiglia sikh l’11 settembre 1926 a Maina, nel distretto Bhatinda, Punjab, India. Sua madre morì dandogli nascita e il padre si spense pochi giorni dopo. Fu cresciuto dallo zio insieme con la moglie, i quali lo chiamarono Sardara Singh e lo amarono come fosse il loro stesso figlio: è a loro che Sant Ji si riferisce quando parla dei suoi genitori.

La ricerca della Verità incominciò all’età di cinque anni; soleva alzarsi presto il mattino e leggere gli scritti di Guru Nanak (Una straordinaria figura spirituale del passato (1469-1539) che è onorata come il fondatore della religione sikh). Un sopraffacente desiderio di incontrare un vero Guru o Maestro spirituale autentico con la compassione e la competenza di guidarlo, gli penetrò nel cuore. Ogniqualvolta interrogava qualcuno riguardo a un Guru: “Dove posso trovare un Guru?”, tutti gli dicevano che il «Guru Granth Sahib» (la sacra scrittura dei sikh) era il Guru. Suo zio gli disse: “Quando vedi questo libro sacro, stai vedendo Dio; quando lo leggi, stai parlando con Dio”. Il bambino prese queste dichiarazioni in modo molto serio, tenne con sé il libro per quanto possibile e lo lesse attentamente e con devozione, al punto che soleva vederlo in sogno. Nondimeno come lui dice: “Non c’era vera pace nella mia mente giacché il libro stesso parlava della necessità di un autentico Guru per la vera pace e salvezza”. Quindi la ricerca di un Guru proseguì durante l’infanzia e l’adolescenza.

A un certo punto incontrò un sadhu che gli disse: “Credi in me, io sono il tuo guru e ti porterò a Dio”. Poi incominciò ad insegnargli come cambiare forma (come trasformarsi in vari animali, eccetera), “ma io gli dissi che volevo innalzarmi al di sopra del corpo umano; non intendevo trasformarmi in nessun’altra forma”. E il sadhu gli diede un libro in cui erano descritti alcuni segni di un vero Maestro: “Quando lessi quel libro, non trovai in quel sadhu alcun segno del vero Guru, così lo lasciai”.

A Lahore incontrò un altro sadhu che a sua volta operava miracoli, “ma io desideravo la conoscenza del Naam, come aveva scritto Guru Nanak e non mi curavo dei miracoli”. Questo sadhu si interessò al giovane ricercatore, allora adolescente, e gli diede il mantra «Hey Ram, Hey Gobind», che ripeté per molti anni. Gli insegnò anche a fare la famosa «austerità dei cinque fuochi» durante la quale l’aspirante siede in un cerchio di quattro fuochi accesi col sole sul capo. Questo rito si esegue nella stagione estiva quando la temperatura raggiunge i cinquanta gradi, per circa quaranta giorni l’anno. Quando gli fu chiesto se ne avesse tratto qualche beneficio, Ajaib Singh disse con enfasi: “No!”. Questo sadhu gli diede altresì un rosario con cui ripetere il mantra e lo incoraggiò a mangiar carne e a bere vino, cosa che comunque non fece giacché era stato vegetariano sin dalla nascita.

Sebbene fosse felice di ripetere il mantra Hey Ram, Hey Gobind, non derivò alcun giovamento da quel sadhu. Poco dopo, circa nel 1940 incontrò Baba Bishan Das, un Sadhu che doveva diventare il suo primo Guru e che, come Sant Ji ha spesso detto: “Formò la mia vita…”. Fu compito di questa figura enigmatica – un discepolo spirituale di Baba Sri Chand, il figlio di Guru Nanak – con la sua conoscenza parziale del «Surat Shabd Yoga», di preparare quest’unico discepolo al suo destino incredibile. Fu Bishan Das a mutare il suo nome da Sardara Singh, un nome infausto, quasi insignificante, in «Ajaib Singh» o «meraviglioso leone». «Ajaib» in punjabi significa «stranamente meraviglioso». Baba Bishan Das accettò a suo modo la devozione di Ajaib Singh, ma negò in modo adamantino di iniziarlo o di dargli alcunché per molti anni. Con le parole di Ajaib Singh: “Andavo da molti sadhu giacché non ricevevo nulla da Bishan Das, tuttavia tornavo da lui anche se era un osso duro. Andavo anche da altri sadhu ma non trovavo nessuno come Bishan Das, così tornavo da lui e cercavo di ricevere qualcosa. Bishan Das era molto duro e non dava nulla a nessuno, eppure continuai a provare, tentai di ricevere la conoscenza per dieci anni… e quando andavo da lui, mi schiaffeggiava. Non mi permetteva mai di indossare abiti belli. Tutti i parenti e gli altri mi schernivano, si burlavano di me: ‘È impazzito! Va da un folle che lo prende a schiaffi e gli dice di andarsene!’”. Ma Ajaib Singh dice che gli schiaffi di Bishan Das erano per lui più dolci dei sorrisi degli altri sadhu perché vedeva che aveva realmente qualcosa.

Non molto tempo dopo l’incontro con Bishan Das, verso il 1940 quando ancora era un adolescente, Ajaib Singh fu chiamato alle armi. Vi rimase per circa sette anni e per un certo periodo prestò servizio in Germania. Andava a far visita a Baba Bishan Das ogni qualvolta poteva e continuò ad essere trattato aspramente. Una volta, influenzato da alcuni colleghi alla moda, si legò la barba nello stile sikh moderno e Bishan Das gliela afferrò, la slegò con forza: “Chi pensi di essere… un bel gentiluomo? Chi ti ha insegnato a far questo?”. Chiese ad Ajaib Singh pure tutto il salario ad eccezione di cinque rupie al mese, che gli concedeva per le spese personali. Con quei soldi costruì un ashram che ad ogni modo non permise di visitare ad Ajaib Singh per il fatto che potesse reputarlo di sua proprietà.

In questo periodo ripeteva ancora il mantra «Hey Ram, Hey Gobind» con tale assiduità che la ripetizione era diventata automatica. Una volta mentre sfilava in parata nell’esercito doveva dire: “Sinistr, destr, sinistr, destr…”, ma il mantra era diventato parte di sé al punto che diceva invece: “Hey Ram, Hey Gobind…”. Un ufficiale di lingua madre punjabi lo udì e fu molto scontento; lo fece uscire dalla fila e gli fece ripetere il mantra davanti a tutti. Ripeté: “Hey Ram, Hey Gobind…” proprio come prima. Un ufficiale inglese di rango superiore presente sul posto intercedette in suo favore e lo escluse dal servizio di parata. Quell’ufficiale divenne molto amico di Ajaib Singh e gli disse che, quantunque fosse più giovane, sentiva che Ajaib Singh era per lui come un padre.

Il suo reggimento fu accampato vicino a Beas nel Punjab per molto tempo, e qua il giovane ricercatore conobbe uno dei giganti del nostro tempo: Baba Sawan Singh Ji, il guru di Sant Kirpal Singh, i cui seguaci in India erano centinaia di migliaia (e che introdusse la pratica di iniziare i discepoli in Occidente tramite rappresentanti). Quando Ajaib Singh lo conobbe, il grande Maestro aveva circa ottanta anni, era all’acme della missione. Ajaib Singh riconobbe subito la statura spirituale di Sawan Singh e gli chiese l’iniziazione. Il Maestro negò dicendo che chi lo avrebbe iniziato, in seguito sarebbe andato di persona da lui. Ajaib Singh portò a vedere Sawan Singh anche Bishan Das, il quale nonostante la condizione spirituale evoluta chiese a sua volta l’iniziazione al Maestro. Sawan Singh rispose che non era necessario per lui essere iniziato giacché era molto vecchio, ma che lo avrebbe preso sotto la sua protezione. Il grande Maestro presentò Ajaib Singh a Baba Somanath, un discepolo che lavorava nel sud dell’India per introdurvi la Sant Mat, dicendogli che il passato di Somanath era simile al suo essendosi impegnato in una lunga ricerca e in molte austerità difficili. Questo fu un incontro importante: anche se i due uomini ebbero poco contatto esteriore in seguito, entrambi dovevano proseguire a tempo debito il lavoro spirituale. Dopo che Somanath lasciò il corpo nel 1976, molti suoi discepoli trovarono pace ai piedi di Ajaib Singh.

Sant Ji fu influenzato da due altri discepoli evoluti di Baba Sawan Singh, ambedue con straordinarie personalità: il Mastana del Belucistan (Mastana Ji), un Sadhu inebriato di Dio che diventò a sua volta Maestro, e Sunder Das, un meditatore di grande potere che sperimentò un periodo molto difficile di problemi personali e pazzia, ma che morì trionfante. Ajaib Singh fu molto vicino a Sunder Das, che visse con lui per qualche tempo. Una volta, all’inizio della loro amicizia, stavano meditando insieme di fronte a un fuoco all’aperto quando un ceppo rovente rotolò e si andò a posare contro la gamba di Sunder Das. La sua concentrazione era così totale e profonda che non vacillò mai per un istante. Quando smise infine di meditare, la gamba era ustionata gravemente. Quel pomeriggio Ajaib Singh andò con Sunder Das a trovare Baba Sawan Singh; il Maestro fu molto compiaciuto della devozione di Sunder Das, e gli diede un balsamo derivato dall’albero neem (n.d.t. albero dei paternostri ossia melia azadirachta) che curò la gamba.

Il giovane Ajaib Singh fu incredibilmente colpito e affascinato da Baba Sawan Singh. In seguito nei suoi discorsi fece spesso riferimento a citazioni e storie ispirate al grande Maestro. I discepoli di Baba Sawan Singh che sono ora ai piedi di Sant Ji, dicono che i suoi Satsang ricalcano tantissimo lo stile di Baba Sawan Singh. Non c’è dubbio che la prolungata associazione con lui a un’età così tenera (fra i quindici e i vent’anni) in aggiunta al contatto intenso con alcuni dei suoi discepoli più evoluti, giocarono una parte molto importante nel formare il suo futuro. Sant Ji parla ancora di Sawan Singh come “l’uomo più bello che abbia mai incontrato” e anche ora è per lui una realtà vivente.

Quando Ajaib Singh fu congedato dall’esercito verso la fine del 1940, tornò a casa dai genitori per scoprire che avevano predisposto per lui il matrimonio e il trapasso della proprietà. Benché la tradizione della Sant Mat non proibisca entrambi (alcuni Maestri si sono sposati e hanno avuto proprietà, altri no. Degli ultimi cinque Maestri, tre: Sawan Singh, Kirpal Singh e Sadhu Ram si sono sposati e gli altri due: Jaimal Singh e Ajaib Singh, no). Lui non era propenso a sposarsi né voleva alcuna proprietà. I genitori gli fecero notare che in caso di diniego l’eredità sarebbe stata divisa fra i parenti, cosa che loro non desideravano. Allora lui scelse un ragazzo illegittimo, un fuori casta del villaggio senza speranza e prospettive, e lo designò suo erede. Oggi è uno dei personaggi più importanti di quel villaggio.

In questo periodo visse con i genitori e lavorò come bracciante nei campi. Nell’anno 1950 o 1951 Baba Bishan Das andò da lui nel giardino di casa; aveva camminato quaranta chilometri per vederlo. Disse: “Ajaib Singh, sono molto contento di te, voglio darti qualcosa”. Allora gli diede i primi due dei cinque Santi Nomi ( Il mantra del Surat Shabd Yoga, utilizzato per la pratica della rimembranza, o Simran) dicendogli che ne avrebbe ricevuti altri da Qualcuno che sarebbe andato da lui; poi gli trasferì tutti i suoi poteri tramite gli occhi. Il giorno dopo lasciò il corpo.

Ajaib Singh era l’unico iniziato di Bishan Das e il suo amore per il primo Guru rimase sempre forte. Disse: “Non mi saltò mai in mente che Bishan Das fosse inferiore ad un Guru perché non aveva un largo seguito di discepoli. Vidi che aveva la verità e lo amai”. Il suo amore rimase costante e profondo a dispetto di ripulse, insulti e ripetuti rifiuti di dargli alcunché. Infine Bishan Das ricompensò quell’amore concedendogli qualsiasi cosa avesse.

Dopo l’iniziazione Ajaib Singh continuò a vivere con la famiglia e a lavorare come bracciante nei campi, ma in risposta ad ordini interiori di Bishan Das, entro breve tempo si trasferì a Kunichuk nel Rajasthan settentrionale ove costruì un ashram nel mezzo del deserto. All’epoca del trasferimento era un luogo infausto: era molto remoto, l’acqua del canale che ha trasformato la faccia di quella parte dell’India non era ancora disponibile. Scavò uno stagno per trattenervi l’acqua piovana e per lungo tempo quella fu l’unica risorsa d’acqua (infine furono disponibili altre risorse). Seguendo gli ordini interiori costruì l’ashram e per venti anni lo fece funzionare come tale e come fattoria: non solo il raccolto provvedeva il necessario al langar (la cucina gratuita), ma una gran parte d’esso era venduto per incassare denaro con cui provvedere ai bisogni dell’ashram e dei suoi abitanti. Ajaib Singh diresse la fattoria e nel contempo coltivò assiduamente il dono che Bishan Das gli aveva dato.

Trascorse molte ore in meditazione al punto che le persone di quella zona, coscienti che un autentico devoto era venuto fra loro, incominciarono a chiamarlo spontaneamente «Sant Ji», titolo con il quale è ora conosciuto dappertutto in quella parte dell’India (anche il Maestro Kirpal Singh lo chiamava «Sant Ji»). La gente prese ad andare all’ashram di Kunichuk per meditare, per stare con lui e fargli domande; molti degli attuali iniziati incominciarono la loro relazione con lui in questo periodo. Frattanto Baba Sawan Singh aveva lasciato il corpo (nel 1948) e il suo amato discepolo Gurumukh, Sant Kirpal Singh, aveva ricevuto l’incarico di dare il Naam e di ricondurre i figli di Dio al Padre. Tuttavia a Kirpal Singh fu impedito di portare avanti il lavoro alla Dera di Beas, l’ashram di Baba Sawan Singh, e dopo vari mesi di meditazione sull’Himalaya, iniziò ad adempiere gli ordini del Guru a Delhi con l’aiuto di un pugno di discepoli di Baba Sawan Singh. La cosa era ad ogni modo sconosciuta a molti discepoli del Maestro in luoghi remoti, incluso ad Ajaib Singh; quando a tempo debito, Sardar Charan Singh, il nipote di Sawan Singh, venne ad occupare il podio a Beas, Ajaib Singh andò a trovarlo per interrogarlo.

Sant Ji si è riferito alla sua relazione con Charan Singh in questo modo: “Non fui mai iniziato da Charan Singh, ma andai a trovarlo a Beas. Gli chiesi se era competente per guidarmi oltre nei piani interiori, al che rispose che per quanto riguardava il fatto di guidarmi interiormente non era competente, la sua missione era di dare la teoria e i cinque Nomi. Apprezzai l’onestà di Charan Singh e come risultato mandai centinaia di persone da lui”. Quando il sottoscritto fece una domanda riguardo la natura della sua relazione con Charan Singh, rispose semplicemente: “Lo amavo”, ma disse che non aveva preso l’iniziazione da lui o da qualche altro Guru a Beas.

Per molti anni Ajaib Singh visse all’ashram di Kunichuk dirigendo la fattoria e progredendo sempre più interiormente. Mentre la sua reputazione di santità aumentava con il passare degli anni, sempre più gente andava da lui, ma non accettò nessun discepolo né iniziò alcuno a qualsiasi livello. Sapeva che non era pronto per farlo. Infine le sue lunghe e profonde meditazioni portarono ricchi frutti e incominciò a vedere nell’intimo la forma radiante di Swami Ji Maharaj (antenato spirituale di Baba Sawan Singh e Baba Kirpal Singh), il cui volto cambiò gradatamente in un’altra forma che non riconobbe.

In seguito venne a sapere che era quella di Kirpal Singh. Con le sue parole: “Nel 1966 Maharaj Kirpal Singh Ji si manifestò nella sua Forma radiante; un anno dopo venni a sapere dell’esistenza del Maestro che stava benedicendo le mie meditazioni e fui iniziato nel 1967”. La profezia di Baba Sawan Singh si avverò quando nel corso del giro in Rajasthan del 1967, Kirpal Singh stette con Ajaib Singh all’ashram di Kunichuk. Fu iniziato a Sri Ganga Nagar, la vicina città principale di quel distretto.

Vari resoconti di testimoni oculari convengono che Ajaib Singh fu iniziato in una stanza a parte, separato dalle circa cento persone riunite nel salone principale. Secondo un testimone, quando Ajaib Singh cercò di sedere sul pavimento ai suoi piedi, Sant Kirpal Singh lo fermò dicendo: “No, tu sei un Santo” e lo fece sedere sulla sedia. Il Maestro gli diede i rimanenti tre dei cinque Santi Nomi, lo guardò negli occhi e lo innalzò. Allorché qualcuno si lamentò perché il Maestro non dava ad Ajaib Singh nessuna istruzione teorica, Kirpal Singh rispose che non ne aveva bisogno. Da quel punto in poi Ajaib Singh fu completamente e totalmente devoto al Maestro e usò tutta la sua influenza e qualsiasi reputazione avesse in suo favore.

L’incontro di Sant Ji con Kirpal Singh fu indiscutibilmente la svolta decisiva e il fulcro della sua vita: tutto prima di quell’incontro aveva portato ad esso, e tutto dopo ne derivò. L’associazione con Baba Sawan Singh e l’iniziazione di Baba Bishan Das furono entrambi preliminari, come essi stessi dichiararono esplicitamente: la loro promessa fu adempiuta quando venne Kirpal. L’impatto che questo Santo maestoso ebbe su Ajaib Singh può essere giudicato dal numero e dalla qualità dei riferimenti a lui che si trovano nei discorsi, conversazioni e poesie. Com’egli dice in molti punti e in vari modi: “Dio venne nella forma di un uomo”.

Quest’attitudine è conosciuta tecnicamente come Gurubhakti ed è in accordo non solo con la Sant Mat (il sistema esoterico insegnato da questi Maestri) ma con la tradizione mistica più alta in India e ovunque: i Vangeli sono basati su di essa. Il termine Satguru o vero Maestro vuol dire proprio quello, «il Verbo fatto carne», un essere umano che ha superato l’ego. È penetrato nel Verbo o Potere di Dio (la sua essenza più riposta) al punto che è in grado di agire coscientemente a quel livello e rendere possibile anche agli altri la stessa cosa. Il Verbo stesso, chiamato Naam (Nome) o Shabd (Corrente Sonora) dai Maestri, il Potere creativo di Dio che si manifesta come Luce e Suono, è il mezzo dell’ascesa. Una volta che un Maestro o Satguru, qualcuno che l’abbia realizzato di persona, mostri a un ricercatore come riottenere il contatto con il Verbo, egli può procedere da lì. Il Verbo è già nostro, è l’essenza del nostro essere ma una volta perso contatto con esso, abbiamo bisogno di aiuto per riottenerlo. È importante notare che l’essenza del Verbo datore di vita (l’essenza dell’Essenza) è l’amore: Dio è Amore secondo tutti i Maestri e la sua espressione, il Verbo o Naam, è pure Amore. Tale è pure l’essere umano che è la manifestazione di quell’espressione. Ecco il significato della Gurubhakti e il punto principale dei Vangeli: l’amore per il Maestro vivente, il Verbo fatto carne del nostro tempo, ci rinsalda fermamente e in modo inamovibile con quello che egli manifesta. Ha un grande potere liberatore.

Questo insegnamento chiamato in India Sant Mat o la Via dei Santi e con altri nomi altrove, è sia molto semplice sia molto esigente; richiede una profonda dedizione da parte del ricercatore, «una passione dominante» per usare le parole di Sant Kirpal Singh, come pure la grazia di Dio operante nel Maestro vivente. È stato divulgato in India sin dal quindicesimo secolo da una linea veramente straordinaria di giganti spirituali iniziando con Kabir, il tessitore musulmano che si è incarnato quattro volte, una volta in ogni yuga o ciclo di tempo, e ha inaugurato una o più linee di Maestri ogni volta. Altri Maestri della Sant Mat ai quali Sant Ji fa riferimento nei discorsi includono un certo numero che furono influenzati direttamente da Kabir: Ravidas il calzolaio, Dhanna il contadino jat, Ramananda (esteriormente il Guru di Kabir), Dharam Das e Baba Nanak, il primo guru dei sikh. Nanak ebbe nove successori, i quali furono tutti Maestri della Sant Mat. Poi la religione sikh istituzionalizzata sostiene che la linea terminò. Ma la tradizione esoterica la presenta in modo diverso: la linea continuò tramite la famiglia regnante di Poona Sitara, i cui membri erano stati iniziati dall’ultimo Guru sikh.

Nello stesso periodo dei Guru sikh ci furono molti altri Maestri; alcuni in linee diverse fondate da Kabir, altri forse (come i grandi sufi Bulleh Shah e Hazrat Bahu) rappresentanti recenti di una linea che risaliva ad un’età precedente. Fra questi Santi vi erano Mira Bai, una principessa rajput discepola di Ravidas, Tulsidas il grande poeta indi autore del Ram Charitrar Manas o Ramayana, Paltu, Dadu, Jagjivan, Sehjo Bai, un’altra Santa discepola di Sant Charan Das all’inizio del diciannovesimo secolo, e molti altri. Ma la ristrutturazione della Sant Mat per i tempi moderni fu opera di Swami Ji Maharaj di Agra, un iniziato di Tulsi Sahib, i cui inni presentano gli eterni insegnamenti dei Maestri in una lingua estremamente semplice, quasi essenziale, così che possano essere capiti da tutti. Swami Ji, come Kabir, fu una figura seminale nella storia della Sant Mat, con un buon numero di discepoli che diventarono Maestri. Uno di loro, Baba Jaimal Singh, era il Guru di Sawan Singh, e quindi l’antenato dei Maestri ai quali siamo interessati (un resoconto eccezionale della vita di Baba Ji e della sua relazione con Swami Ji e con Sawan Singh è tracciato nel libro Baba Jaimal Singh: His Life and Teachings di Kirpal Singh).

Dunque Sant Kirpal Singh e Baba Sawan Singh prima di lui non erano solo personalità incredibili, erano i membri viventi di una linea spirituale veramente eminente e portavano con sé tutta la forza, il potere e l’amore che la linea aveva sviluppato. Tramite la lunga ricerca, l’associazione con Baba Sawan Singh, il tirocinio con Baba Bishan Das e (forse più importante di tutto) attraverso i suoi diciassette anni di pratiche intense di quel che Bishan Das gli aveva dato, Ajaib Singh si era messo nella posizione di essere un perfetto ricettacolo per quel che Kirpal Singh voleva dare. Nella terminologia dei Maestri era diventato un Gurumukh. Non c’è da stupirsi che la sua iniziazione sia andata in quel modo o che la sua vita da quel momento in poi abbia preso la forma che prese; ci sarebbe da meravigliarsi dell’opposto.

La sua associazione fisica con il Maestro durò sette anni nel corso dei quali Sant Kirpal Singh fece visita ad Ajaib Singh un certo numero di volte, talvolta pubblicamente, come parte di un giro del Rajasthan, talvolta privatamente. Egli spariva da Delhi per alcuni giorni senza dire a nessuno dove andava e ritornava con gli abiti coperti di polvere. Diede a Sant Ji ordini precisi di abbandonare affatto l’aspetto esteriore della vita, di non vedere nessuno né di andare da nessuna parte, di meditare a tempo pieno. Infine gli ordinò di abbandonare completamente l’ashram di Kunichuk, non di venderlo ma di andarsene e di scordarselo: un ordine a cui, come Sant Ji dice, fu difficile obbedire. Ma obbedì e con ciò si guadagnò le calunnie, il dileggio dei suoi ammiratori di un tempo che gradivano le cose nel modo in cui erano state e pensarono che fosse insanito e avesse gettato via ogni cosa. Benché non avesse iniziato nessuno, era trattato come un Guru da molte persone e in realtà aveva un largo seguito: ora sembrava stesse dilapidando tutto. Ma uno dei suoi primi amici, Sardar Rattan Singh, aveva costruito un piccolo ashram vicino alla sua fattoria al villaggio 16PS, inclusa una stanza sotterranea specificatamente per la meditazione. Sant Ji vi meditò incessantemente per oltre due anni, quasi in continuo samadhi, uscendo una volta il giorno per prendere un po’ di cibo leggero. Interruppe questa meditazione solo pochi giorni prima che Sant Kirpal Singh abbandonasse il corpo.

Riandando nel passato, è chiaro che il Maestro lo stava sottoponendo a un intenso corso finale di spiritualità, ma nella sua saggezza lo teneva nascosto dal sangat in generale, protetto dalle numerose correnti di ambizione personale e gelosia che travolgevano i capi famosi del sangat durante gli ultimi giorni di Sant Kirpal Singh. Sant Ji era conosciuto al Sawan Ashram in modo vago: molte delle persone responsabili sapevano che era stato iniziato un Guru nel Rajasthan e aveva diretto tutto il suo seguito dal Maestro. Questo genere di cose non accade così spesso senza fare notizia, tuttavia pochissimi conoscevano il suo nome per non parlare di come trovarlo. Solo il Maestro sapeva e dava al discepolo tutto quel che gli serviva.

L’ultima visita pubblica di Sant Kirpal Singh nel Rajasthan fu nella primavera del 1972, due anni prima che lasciasse il corpo. In quest’occasione si fermò ancora da Ajaib Singh al Kunichuk, e questa volta gli disse che lui avrebbe continuato il lavoro di dare l’iniziazione al Naam. Ajaib Singh protestò, ma il Maestro fu inflessibile. Fu condotta un’iniziazione all’ashram agli ordini del Maestro nella quale cinquanta persone ricevettero il Naam da Ajaib Singh, mentre il Maestro sedeva osservando su un divano.

In quest’occasione il Maestro Kirpal Singh gli disse: “Ajaib Singh, sono molto contento di te, voglio darti qualcosa”, le stesse parole usate da Bishan Das nel 1950. E allora come dice Ajaib Singh: “Maharaj Ji passò la sua stessa vita e potere nella mia anima attraverso gli occhi. Implorai il Maestro di non farlo giacché temevo che non sarebbe passato molto tempo prima della sua dipartita”, proprio come era successo con Bishan Das. Da questo punto in poi Ajaib Singh aveva l’autorità di dare il Naam senza prima chiedere al Maestro.

Come si è sopraccitato, Sant Ji trascorse i due anni successivi in meditazione nella stanza sotterranea dell’ashram al villaggio 16PS, seduto su un pancone di legno. Dedicò tutto il suo tempo al Surat Shabd Yoga. Interruppe il samadhi prima che Kirpal Singh lasciasse il corpo nell’agosto del 1974 e visitò il villaggio 77RB a pochi chilometri di distanza su amorevole invito di alcuni devoti. Fu lì che apprese della dipartita fisica del Maestro e, piangendo amaramente, si recò al Sawan Ashram a Delhi per porgere i suoi omaggi. All’arrivo fu salutato e ricevette una stanza, ma dopo varie ore gli fu chiesto dalla persona responsabile di andarsene. Venne scortato alla stazione ferroviaria per aspettare il treno nonostante fosse ancora nel bel mezzo del giorno e il treno non sarebbe partito prima delle ventuno. Si era trovato innocentemente nelle correnti dette prima: non c’era posto per lui nell’ashram del Maestro. Se ne andò senza proteste, proprio come Sant Kirpal Singh, venticinque anni prima, se ne era andato dalla Dera a Beas per ragioni simili.

Non aveva desiderio personale di essere un Guru e aveva un’avversione esplicita per i raggiri politici. Tornò a Satatararbi (il 77RB) e, pochi giorni dopo, nella profondissima agonia della separazione fisica del Maestro lasciò il villaggio e vagò nel deserto senza prendere nulla con sé e piangendo al punto di ledersi gli occhi. Questo soggetto della vireh o separazione dal Maestro può lasciare perplesso il discepolo. Sant Kirpal Singh scrisse un capitolo al riguardo nel capolavoro in prosa, il Gurmat Siddhant. Spesso raccontava di come Baba Sawan Singh gli fece leggere quel capitolo due volte e di come allora si rese conto che avrebbe sperimentato personalmente tutto ciò che aveva scritto in quelle pagine. Il discepolo pensa che fra tutta la gente il nuovo Maestro dovrebbe essere il meno toccato dalla dipartita fisica del precedente; egli è, per definizione, più strettamente unito a lui di chiunque altro, perché dovrebbe temere a tal punto la separazione fisica? Ma non è così, è proprio perché i Maestri sanno meglio di chiunque altro il vero significato della forma fisica del loro Maestro che se ne addolorano per la dipartita.

Parlando del Maestro, una volta Baba Sawan Singh dichiarò: “Sebbene Baba Ji sia nella profondità del mio cuore e non sia mai separato da lui per un momento, tuttavia che benedizione sarebbe se lo vedessi ancora una volta muoversi fra noi come prima! Per una simile vista rinuncerei a tutto quel che posseggo!”.

Sant Kirpal Singh, che molte volte si riferì a questo soggetto, spiega la cosa ulteriormente: “Quando amiamo un essere umano, ci sentiamo addolorati per la separazione. Ma quando amiamo un uomo che è unito con Dio, l’intensità del suo amore è molto più grande. Qualcuno può chiedere: ‘Quando il Maestro inizia l’allievo, risiede nell’anima dell’allievo e rimane sempre con lui. Ebbene perché c’è questo sentimento di tristezza?’. La risposta è che nell’intimo si ottiene un tipo di piacere e quando lo si vede nel corpo, si hanno due godimenti. Vivere dopo la morte del Maestro è la più grande sventura. Morì il Maestro di una persona. Andò alla sua tomba e pregò: ‘È una sfortuna vivere ora!’. Detto questo, si sdraiò sulla tomba e spirò… Quando le lacrime sgorgano dagli occhi nel ricordo del Maestro, tutti i propri peccati sono lavati via…”… dal libro Gurudev: The Lord of Compassion, pag. 52.

Dunque sembra che l’odissea di Sant Ji nel deserto portando tutto il peso del dolore causato dalla separazione, sia stata la purificazione finale da qualsiasi grossolanità ancora esistente, l’acme necessario della lunga preparazione. Ma che prezzo fu pagato! Il danno causato ai suoi occhi dal pianto eccessivo era reale e duraturo, richiese due interventi. Nonostante non avesse interesse per ciò che in India è chiamato gaddi (il seggio del Guru usato come simbolo di autorità spirituale) e nel suo vagare si fosse allontanato da tutti coloro che lo conoscevano, l’incarico datogli dal Maestro non era cessato. Benché la sua visita al Sawan Ashram fosse stata brevissima ed egli fosse stato allontanato nella maggior discrezione possibile, non era passato del tutto inosservato: un vecchio discepolo notò che “i suoi occhi si erano trasformati in quelli del Maestro”, lo aveva invitato nel suo appartamento nell’ashram e lo aveva trattato con molta gentilezza e rispetto. Parlò di lui anche ad altri, uno dei quali, un mio amico, seguì Sant Ji nel Rajasthan per incontrarlo personalmente. Ebbero un incontro breve e inconcludente il giorno prima che Sant Ji lasciasse il villaggio; ma fu sufficiente a portare speranza al sangat occidentale tristemente colpito dalla dipartita del Maestro e da quello che seguì.

Mentre era in giro, mancava tantissimo ai satsanghi sparsi nei villaggi serviti dai canali nel deserto settentrionale del Rajasthan. Uno dei devoti che vive al 77RB 5 («16PS» significa il sedicesimo villaggio sul canale PS. Similmente «77RB» è il settantasettesimo villaggio sul canale RB), Gurdev Singh, chiamato «Pathi Ji» giacché è un pathi o cantore eccezionale (spesso svolge quel ruolo ai Satsang di Sant Ji, canta gli inni sui quali è basato il discorso), non riusciva a sopportare la sua assenza prolungata e lo andò a cercare. Contemporaneamente altri devoti del villaggio costruirono per lui un ashram sperando che avrebbe acconsentito ad utilizzarlo. Dopo vari mesi di ricerche Pathi Ji lo trovò e con grande gioia dei devoti egli acconsentì a fare uso dell’ashram che avevano costruito con tanto amore. Il loro amore lo aveva spinto a ritornare. Coltivando la terra dell’ashram, lavorando tranquillamente senza far nulla per accrescere le controversie fra i discepoli del Maestro, Sant Ji incominciò ad eseguire i suoi ordini. Tenne un Satsang mensile, diede l’iniziazione al Naam a coloro che si recavano da lui, diede darshan e consigli a coloro che lo desideravano. Continuò così fino alla visita del sottoscritto nel febbraio del 1976.

La storia di quella visita è stata narrata dettagliatamente altrove (Vedere L’impatto con un Santo, pag. 112-128) e non ha bisogno di essere ripetuta, se non per dire che andai in risposta a ordini interiori di Kirpal Singh, del quale sono un discepolo, e fui completamente impreparato per quel che trovai: un bell’uomo semplice e amorevole di totale integrità e autenticità, che conduceva la vita senza tempo dei Padri del Deserto o dei Profeti biblici nel suo ashram di fango nel mezzo del deserto, operando nell’immagine esplicita e nel potere di Sant Kirpal Singh. Il Maestro aveva detto, proprio prima di andarsene quando fu interrogato riguardo a un successore: “Quello stesso potere viene tramite diversi poli umani. Quando Guru Nanak lasciò il corpo, sbocciarono fiori. Quando piansero, disse semplicemente: ‘Ascoltate, se un vostro amico se ne va oggi, ritorna con un altro vestito un altro giorno, che differenza fa?’. Gli abiti possono cambiare ma non quel Potere. Sono punti delicatissimi…”. (Sat Sandesh, 8 agosto 1974)

Pochi giorni dopo aggiunse: “II Verbo non cambia mai. Quando il vostro amico viene oggi con un vestito bianco, domani con uno giallo, il terzo con uno marrone, non lo riconoscerete? Spero che lo riconoscerete e non lo abbandonerete. Ecco tutto quel che posso dire…” (Sat Sandesh, 14 agosto 1974). Lì davanti ai miei occhi si adempiva questa profezia. Al ritorno descrissi il nostro incontro in questo modo: “Ogni volta che mi guardava, era il Maestro a guardarmi. Non c’era dubbio al riguardo… incominciò a crescere quest’incredibile gioia interiore che non avevo più sperimentato sin dall’ultima volta che vidi il Maestro. Erompeva dentro di me e non potevo crederci. Improvvisamente capii quel che si intende con ‘il nostro Amico con un abito diverso’”.

Egli chiarì altresì di non avere nessun interesse personale ad essere Guru e a un certo punto mi disse: “Chi vuol essere un Guru? Che c’è nell’essere Guru, dimmelo? Non è meglio essere un discepolo?”. Ma forse ancora più significativo era che aveva dato ordini a tutti i discepoli e gli ammiratori di quella zona di non dire dove stava a chiunque fosse venuto a cercarlo. Per questo fu molto difficile trovarlo e le persone che infine ci guidarono da lui, agirono a dispetto dei suoi ordini e solo dopo che avevano sentito tantissima grazia. Sant Ji non era interessato alla posizione di Guru, tuttavia doveva obbedire agli ordini del Maestro, quindi acconsentì a non allontanare nessuno che fosse venuto a trovarlo. Immediatamente al mio ritorno incominciarono a formarsi dei gruppi per intraprendere quel viaggio: un flusso ininterrotto che continua sin da allora, con gruppi ora di quaranta e più persone per volta che vanno ogni mese da settembre ad aprile per dieci giorni di meditazione intensa e guida spirituale diretta. Con misericordia accettò anche – in pochi mesi – di prendere provvedimenti affinché i ricercatori in Occidente potessero ricevere l’iniziazione. Ora i suoi iniziati sono migliaia con rappresentanti autorizzati a dare l’iniziazione in molti paesi del mondo. La grazia maggiore è che in risposta all’amore incredibile che ha ricevuto da discepoli di entrambi Sant Kirpal Singh e Baba Somanath, come pure da ricercatori desiderosi dell’iniziazione, ha lasciato il suo amato deserto di Thar del Rajasthan per viaggiare in lungo e in largo: in India, nel Nord e Sud America nel 1977 e infine nel 1980 in tutto il mondo visitando ogni continente in quattro mesi di viaggio continuo.

Il suo semplice ashram di terra del 77RB fu allargato ripetutamente per far posto al numero sempre maggiore di discepoli che si affollavano ai suoi piedi. Infine è stato abbandonato completamente, giacché Sant Ji ha deciso di ritornare all’ashram di prima, al 16PS, dove aveva meditato sottoterra per tanto tempo. Edifici più solidi e un’ubicazione più comoda sono stati tra i fattori che hanno contribuito a spostarsi di nuovo in questo posto santissimo, cosa che è avvenuta nell’estate del 1981.

La storia non è finita, grazie a Dio, continua. Molti di noi hanno imparato una cosa: la grazia di Dio operante tramite il Maestro vivente è colma di sorprese. Seguire il Sentiero non è come studiare teologia, religioni comparate o leggere libri, anche questo. È una corsa intensamente reale su e giù per la montagna del nostro Sé e alla fine c’è più di quanto noi possiamo mai sognare. Se pensiamo che i Santi e i Profeti siano vissuti solo nel passato e che la possibilità di parlare direttamente con Dio sia finita quando fu scritta l’ultima parola della Bibbia, abbiamo torto. Dio ci ama tanto quanto amò la gente di duemila o cinquemila anni addietro e continua a mandare i suoi amati Figli per dirci quel che la nostra anima desidera sentire. La vita descritta in queste pagine ne è una prova vivente.

Russell Perkins

* * *

Chi dice che devo morire?
Devo andare a casa di Kirpal
Piano piano devo attraversare questo lungo e vasto oceano
La morte stupida, che è venuta sulla via della vita, deve morire
Nella mappa della vita il colore di Sawan deve essere riempito
Ho goduto di una lunga vita Non devo vivere – devo andare a casa
Si parlerà di Kirpal E ci sarà tutta la meditazione sul Naam che dovrebbe accadere
Nessuno dovrebbe fermarmi, devo andare; davvero devo andare
Devo andare a casa mia
Ogni volta che Ajaib vorrà, svuoterà la gabbia.

* * *

Bibliografia in italiano

“Ruscelli nel Deserto”
– Simran
– Storie per i bambini di Luce
– Alla ricerca del Misericordioso
– La pena della separazione
– La Salvezza
– Le Due Vie

Fonte: dalla Introduzione di Russell Perkins ne: “RUSCELLI NEL DESERTO”
Fonte: https://www.ajaib.com/html/biography_ajaib.html

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