* BICE VALBONESI *(1890 – 1972) |
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![]() Bice Valbonesi nacque attorno al 1890 a Terra del Sole (Forlì) da famiglia agiata dalla quale ebbe, tuttavia, la sola istruzione elementare. Rimasta orfana venne fatta sposare dal tutore in giovanissima età. Dal matrimonio forzato e sfortunato nacquero tre figli. Fu presto sola e priva di mezzi, costretta a guadagnarsi da vivere ricamando e dipingendo. Nel dicembre 1923 udì all’orecchio una misteriosa voce: “Scrivi!”. Dapprima sconcertata dall’evento acquisì poi consapevolezza delle proprie doti paranormali. Nel 1924 entrò in contatto con un circolo spiritico e col ragioniere Riccardo Bergomi, al quale si legò e che la seguì nelle manifestazioni medianiche. Nel 1936 l’avv. Gino Trespioli pubblicò un libro intitolato “La Vita – Ultrafanie” per la casa editrice Sonzogno. In questo libro, di oltre seicento pagine con ben 226 illustrazioni, sono riportate le sedute medianiche che l’avv. Gino Trespioli svolse nel periodo tra il 1926 e il 1932 avvalendosi in modo particolare della medium Bice Valbonesi e in misura minore di altre medium che vengono citate. Lo spirito-guida della medium Bice Valbonesi era definito “Il Maestro”. All’epoca Bice Valbonesi era effettivamente famosa e tra le sue conoscenze annoverava Gabriele D’Annunzio che l’aveva accolta con entusiasmo e commozione poiché la Valbonesi gli aveva portato un messaggio proveniente dalla madre defunta del D’Annunzio. Gabriele D’annunzio le lasciò in ricordo una sua dedica dove la medium Bice Valbonesi venne definita: “La messaggera dello spirito occulto”. Nel libro “D’Annunzio e l’occulto” di Attilio Mazza, leggiamo: “Nel Gennaio 1924 fu ospite del Vittoriale la «messaggera dello spirito occulto» Bice Valbonesi, come il poeta scrisse nella dedica di un libro. La notizia fu riportata dalla stampa: d’Annunzio «fu il primo ad esaminare una medium nuovissima, non iperfisica ma ultrafana (cioè medium di alta intellettualità), la istruzione della quale arriva a quella della quarta elementare, una italiana, Bice Valbonesi. Egli la volle a Gardone, presso di sé, trascorrendo lunghe ore di giorno e di notte per sentire da «colei che vede e che ode» le voci venienti dal mistero. Erano voci di poeti e di filosofi; c’è una raccolta di versi trecenteschi dettati in sonno medianico ossia in trans che lo entusiasmavano per la forma e pei concetti. Fu tale la meraviglia del Grande per l’ultrafana che, in due dediche (ben più preziose dei doni che le fece l’orafo di Gardone), tale sua ammirazione esprimeva”. Non essendoci molte notizie disponibile per quanto riguarda Bice Valbonesi, riteniamo utile, per una maggior comprensione del personaggio, riportare per intero l’articolo apparso su “La Domenica del Corriere” del 24/07/1938 e scritto proprio dall’avv. Gino Trespioli. L’articolo de: La Domenica del CorriereLa figura poliedrica di Gabriele d’Annunzio offre anche ai biosofi la opportunità di rilevare una nuova faccia del prisma. L’accenno che ho fatto in un precedente mio articolo sulla Domenica ha spinto non pochi lettori a chiedere, a discutere ed anche a diffidare. Nessuno o ben pochi infatti avevano saputo mai che Gabriele d’Annunzio si occupasse – non dirò d’occultismo – ma di fenomeni medianici. Eppure quel Grande non poteva fare a meno d’interessarsi dei problemi enormi della biopsichica e quindi dei tentativi di sperimentazione delle comunicazioni dell’uomo con le Forze sconosciute che anche Emanuele Kant ammette. Anch’egli, come Goethe, come Sardou, come V. Hugo, come Dumas, come Tolstoj, come Fogazzaro, come Dostojewsky, intese l’importanza di uno studio che ha sempre appassionato e sempre più appassiona. D’Annunzio, se è esatto (e non abbiamo diritto né autorità di dubitare) quanto scrisse di lui lo scorso mese il letterato magiaro Giuseppe Zsàk, credeva d’essere stato in precedente vita il poeta Francesco Cinzio. Egli avrebbe riferito allo Zsàk che, nel XV secolo, l’anconitano Cinzio, trasferitosi in Ungheria fu molto caro al re Mattia Corvino, e che quando egli compì la Beffa di Buccari ebbe delle impressioni che, per quanto inaspettate e strane, lo convinsero d’aver vissuto nella corte di Corvino. Diceva d’essere stato in tale occasione “in rapporto psichico col Corvino”, così da sentirsi amico di quello e come se fosse in casa propria rivedendosi nella reggia. Lo Zsàk fece ricerche negli archivi di Vienna e di Budapest e scoprì che il Cinzio fu grande amatore, fu il Petronio della corte magiara, fu novatore dell’estetica, valentissimo poeta, e che dal Sovrano (come cinque secoli poi sarà da Vittorio Emanuele creato principe) ebbe in dono il castello di Buccari con città e terre. Precisamente essendo sopra Buccari, l’antico dominio di Cinzio, avrebbe avuto manifestazioni d’ultraveggenza del lontano passato. L’episodio giustifica la ipotesi di facoltà medianiche nel Poeta, che riapparirebbero pure nell’episodio da me accennato, relativo all’incontro di lui con l’ultrafana Bice Valbonesi nel 1924 a Gardone. Sebbene egli non conoscesse neppure di nome la signora (in quel tempo appena all’inizio della sua medianità) appena l’architetto Maroni, il 6 gennaio del 1924, gli comunicò che si era presentata la sconosciuta signora esprimendo il desiderio d’essere da lui ricevuta per sottoporre al suo giudizio dei versi medianicamente ottenuti, D’Annunzio le fece rispondere, all’albergo dove era alloggiata, che non soltanto l’attendeva, ma che doveva considerarsi, lei e il rag. Riccardo Bergomi (che accompagnava la signora e che di questa fu il primo esperimentatore) ospiti suoi. Una così pronta accoglienza di due persone ignote da parte di D’Annunzio sembrerebbe inesplicabile, se non fosse avvenuto in lui (quello che pur lui disse) come una improvvisa attrazione verso la donna dotata di misteriose facoltà. Il 7 gennaio la Volbonesi ed il Bergomi furono dall’architetto Maroni presentati al Poeta; l’incontro ebbe luogo nell’“Oratorio” del Vittoriale, quasi che D’Annunzio volesse che in un luogo per lui sacro degnamente si svolgessero le comunicazioni con le Essenze dell’Infinito. Bice Valbonesi – come ella stessa racconta qui sotto – trovatasi sola col Poeta non provò ansia alcuna, né soggezione; come una corrente magnetica di vivissima simpatia univo l’uno all’altra; elle fu presa da un violento bisogno di scrivere, e scrisse rapidissimamente, con scrittura minuta e serrata, diversi fogli, che il Comandante a mano a mano raccoglieva e silenziosamente leggeva. Alla fine, egli, con tutta semplicità, ma profondamente commosso esclamò: “È un dettato di mia madre”. Ma lasciamo direttamente la parola alla Valbonesi: Alla fine dall’anno 1923, senza nessuna preparazione letteraria o culturale, fui colta da uno strano fenomeno psichico: sentii giungere al mio orecchio fisico una voce dolce e profonda che trasmetteva espressioni poetiche. Incominciai allora a scrivere sonetti e terzine trecentesche che, secondo gli studiosi di fenomeni psichici, furono giudicate di notevole valore filosofico. Un giorno udii la solita voce che con imperiosa esortazione mi dettava: “Andate col complesso poetico da D’Annunzio”. Di fronte a questo ordine rimasi perplessa mentre i miei amici decisero senz’altro di condurmi da lui. Ed eccomi il 6 gennaio 1924 in viaggio per Gardone Riviera accompagnata dal rag. Bergomi, un appassionato studioso di biosofia, che si sentiva pieno di fede e sicuro della riuscita. Raccolte le informazioni necessarie ci incamminammo verso il Vittoriale. Varcato il recinto lungo il sentiero inargentato di ulivi, incontrammo un signore con una barbetta francescana e vestito di nero, al quale il rag. Bergomi si presentò esponendogli il motivo della visita. L’altro si disse l’architetto Maroni, e ci promise che avrebbe parlato al Comandante. La sera stessa scese infatti in un albergo di Gardone ove eravamo alloggiati, annunciandoci che il Poeta ci attendeva il giorno dopo alle 14, e che da quel momento dovevamo considerarci suoi ospiti graditi. Quello che provai in quell’istante fu una sensazione strana: non avevo nessuna ansia di essere ricevuta dall’uomo distante da me come il sole dalla terra, bensì il desiderio di ritornare subito a casa mia. Invece rimasi; e all’ora fissate del 7 gennaio 1924 varcai la soglia del Vittoriale accompagnata dal rag. Bergomi e dall’archietetto Maroni, che ci presentò al Poeta. L’incontro ebbe luogo nell’“Oratorio” dove solo i più intimi entravano. A D’Annunzio furono lette le terzine scritte, egli dichiarò che potevano essere stampate, tanto erano perfette nella forma e concettose e forbite. Congedati gli altri, rimasi sola con lui. Un desiderio violento di scrivere mi prese, il braccio era scosso come da una corrente elettrica. I foglio di riempivano di una scrittura minuta e serrata. A mano a mano che li andavo scrivendo, il Comandante li raccoglieva e li leggeva attentamente; poi con tutta semplicità mi disse profondamente commosso: “È un dettato di mia madre”. E rimase a lungo pensoso. Indi mi spiegò il significato di una goccia d’acqua che cadeva ritmicamente entro una piccola e umile vaschetta; immagine della vita eterna di colei che fu la mamma adorata. Passammo in seguito nella biblioteca. Io ero un po’ stordita; ciò mi accade sempre ogni qualvolta scrivo sotto la pressione di questa forza-pensiero. Ricordo la grande stanza illuminata dal sole morente. Quivi risentii nuovamente la “voce” che mi dettò quanto segue: A Gabriele. Gradevolmente sorpreso il Poeta mi chiese, con commovente gratitudine, che cosa poteva offrirmi in cambio della intensa gioia spirituale che gli avevo dato. Rimasi confusa e non seppi che rispondere. Scomparve; e ritornando mi porse “L’Italia degli Italiani”. Sul primo foglio bianco stava la dedica: “7 gennaio 1924. Alla messaggera dello Spirito occulto – a Bice Valbonesi – offro questo libro ascetico della mia salvazione. Gabriele D’Annunzio”. E una sua fotografia, nel margine destro della quale era scritto: “Manus Matris . 7 . 1924” e più sotto: “a Bice Valbonesi – che vede e ode – questa immagine mistica offre Gabriele D’Annunzio”. Manus Matris? Alla mia muta interrogazione, il Comandante mi spiegò che quando era stata fatta la fotografia, aveva sentito sotto il mento la carezza della mano materna, e mi fece osservare come essa fosse visibile e chiara nel risvolto sinistro della giacca, che gli sfiora infatti il volto. M’invitò a restare chiamandomi “Donna Marzia”, perché le terzine da me scritte erano firmate col nome di un’Entità sé dicente “Marzio”. Un pomeriggio, nell’“Oratorio”, rimanemmo a lungo a contemplare la fiamma del fuoco, ed il raggio di sole che filtrava attraverso l’invetriata. Mi sentii trasportata in un mondo immateriale; avevo la sensazione che vicino a noi vi fosse il respiro di esseri invisibili ma reali. Nel silenzio armonioso, la voce del Poeta dolce e forte tratteggiò l’apologia del fuoco e del sole e mai udii più mirabile poesia. Ricordo anche, che una sera trovandomi all’albergo in compagnia d’amici, ci appartammo in una sala bruciando dell’incenso e pensando intensamente al Poeta, il quale era a colloquio con un personaggio. Quale non fu la mia meraviglia, quando, incontrando D’Annunzio il giorno dopo, mi chiese quasi a bruciapelo: “Avete bruciato dell’incenso ieri sera, Donna Marzia, che il profumo è arrivato sino a me?”. Una sera mi infilò nel medio (medium disse lui) della mano destra un anello lavorato nel suo laboratorio, finemente arabescato, dicendomi: “Resti la vostra missione suggellata da questo cerchio, la pietra rossa sia per voi, come lo è per me, Donna Marzia, simbolo di una forza superiore”. (f.to – Bice Valbonesi) Queste ultime parole sono una confessione, un riconoscimento personale di facoltà d’ipersensitivo. (f.to – Gino Trespioli) L’esperienza di Demofilo FidaniBice Valbonesi fu conosciuta e sperimentata anche da Demofilo Fidani (considerato da molti il più grande medium ad effetti fisici del secolo scorso) quando era all’inizio del suo percorso e non aveva ancora piena coscienza delle sue grandi facoltà medianiche. Riportiamo un stralcio dal capitolo 9 del libro “Il medium esce dal mistero” di Demofilo Fidani, in cui l’autore narra del suo incontro con la Valbonesi. “Io proposi d’iniziare delle indagini per tentare di avvicinare l’élite dello «Spiritismo» di allora; Renato aggiunse che sarebbe stato interessante poter partecipare a sedute al di fuori del nostro gruppo, malgrado che, quasi tutte, fossero «a pagamento». Inoltre, queste riunioni ci avrebbero permesso di incontrare i Medium noti, a quel tempo, in Italia. Fu così che sperimentammo la signora Valbonesi, la signora Lipinski, la signora Egidi e la signora Maria Guidi, tutte «Medium» a manifestazioni ultrafaniche, cioè a voce indiretta, i «Medium» a carattere fisico, Forletta, Ugo Zorza, l’autista di piazza Bernardino, i sensitivi signora Bajetto e signor Minozzi, il pittore medianico maggiore pilota René Lawley ed altri, più o meno noti. A questo punto ritengo doveroso descrivere due particolari sedute: una tenuta con la signora Valbonesi e l’altra con Forletta. Sia l’una che l’altro mi diedero due prove di identità straordinarie, che mi confermarono la realtà del fenomeno e il valore della loro medianità. La Valbonesi era fisicamente una signora snella, distinta, colta, sui 55 anni. Nei suoi spostamenti si faceva accompagnare da due collaboratrici. Nel locale dove si svolgeva la seduta, la «Medium» veniva fatta accomodare su una poltrona collocata in uno dei quattro angoli dell’ambiente, mentre i partecipanti sedevano lungo le quattro pareti, permettendo così, a tutti, di poter osservare quanto accadeva. Sistemata l’illuminazione in modo da creare una luce diffusa, le due segretarie uscivano dalla stanza, dove, dopo un’attesa di circa dieci minuti, da alcuni gemiti che provenivano dall’ugola della Valbonesi, si capiva che ella stava raggiungendo la «trance». Trascorsi alcuni secondi, con chiara e gradevole voce, la «Medium» iniziava una predica di elevato contenuto morale, sottolineando, spesso, passi del Vangelo oppure insegnamenti dei «Grandi» della Chiesa Cattolica. Era tutto questo apparato mistico-religioso che mi lasciava perplesso: io rigettavo l’odore di incenso. Dopo la seduta che durava circa un’ora, pagando ad una delle segretarie un sovra-prezzo, si poteva consultare, da soli, la Valbonesi, che, rimasta al suo posto, era a disposizione di chi volesse ulteriori chiarimenti o consigli personali. Dopo aver partecipato ad alcune di queste riunioni, una sera, tentato dalla curiosità pagai la differenza. Quando venne il mio turno, fui introdotto nuovamente nell’ambiente da una delle due collaboratrici che mi fece sedere di fronte alla Medium. Rimasti soli, la Valbonesi, che aveva dei fogli di carta in grembo ed una matita in mano, mi interpellò chiamandomi ripetutamente: «Demofilo, Demofilo!» Riconobbi immediatamente in quella voce, a me tanto cara, mia madre, mentre la mano della Signora Bice vergava, rapidamente, su uno di quei fogli: «Mio caro Demò, abbracciami tutti, nonna Giuseppina, papà Giacinto ed un grosso bacione a te ed Arturino. MAMMA ADALGISA». Questa straordinaria «rivelazione» si svolse in meno di un minuto. Quell’attimo, rimasto impresso nella mia mente, mi ha confermato l’immensa grandiosità dell’Eternità! La signora Valbonesi e le sue collaboratrici non conoscevano il mio nome (non comune), né quello di mio fratello Arturo, di mio padre, di mia nonna e, tanto meno, quello di mia madre, trapassata da molti anni. Ritengo importante pubblicare quel messaggio ottenuto mediante la S.ra Bice Valbonesi. In calce al messaggio si legge una nota dell’Amico Renato che ha attinenza con quanto ho raccontato. Avevo smarrito da tempo quel messaggio a me caro e non avrei mai immaginato di riaverlo. Una sera, durante una seduta in «trance» profonda, l’amico Renato, trapassato da svariati anni, promise a mia moglie Mila che presto mi avrebbe fatto un regalo. Una gradita sorpresa. Passò del tempo ed un giorno Mila, mettendo in ordine la libreria, trovò il messaggio di MAMMA ADALGISA. Già di per sé questo fatto era strabiliante, ma ancora più stupefacente è la dicitura in «scrittura diretta» di Renato che specifica il giorno in cui ricevetti quel messaggio – data che non ricordavo – quasi a voler testimoniare dall’Altra Dimensione quanto vado scrivendo”. |
Fonte: http://www.astrascienza.com/bice-valbonesi/ e altre dal web
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