* BODHIDHARMA *

(483 circa – 540)

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BODHIDHARMA BIOGRAFIA

Bodhidharma, in una stampa di Yoshitoshi (1887)

Bodhidharma (Iran, 483 circa – Tempio di Shao-lin-su, 540) è stato un monaco buddhista persiano, 28º patriarca del Buddhismo indiano secondo la tradizione Chán/Zen, appartenente alla corrente Mahāyāna, ed erede del Dharma, secondo il lignaggio Chán, del maestro Prajñātāra. Originario, secondo alcuni tardi resoconti della sua vita, dell’Impero Kusana e di nobile casata, o brahmano, ritenuto primo patriarca del Buddhismo Chán (Zen in Giappone), da lui sarebbe nato anche, secondo alcune tarde leggende, lo stile di combattimento di Shàolínquán.

La vita di  Bodhidharma  in India

Durante il suo tempo, Bodhidharma non richiamò molto l’attenzione del popolo cinese, infatti le prime annotazioni che lo menzionano, sono datate a cento anni più tardi. Le nostre conoscenze riguardo alla sua vita, derivano da due fonti.

A- La prima, che contiene le più antiche informazioni su di lui, menzionandolo solamente come un monaco dedito alla meditazione, è costituita dalle “Biografie dei grandi Sacerdoti”, libro composto da Tao-Hsuan al principio della dinastia Tang, verso il 645 d.C. L’autore fu l’erudito fondatore della setta del Vinaya in Cina, vissuto però prima che il buddismo Chan raggiungesse la sua maturità con il sesto patriarca Hui-neng, che aveva nove anni al tempo in cui Tao-Hsuan scrisse le “Biografie”.

B – L’altra fonte è costituita dagli “Annali della trasmissione della lampada” (Chuan-Deng-Lu), compilati dal monaco Chan Tao-Yuan, nel 1004, al principio della dinastia Song, dopo che il Chan era stato formalmente riconosciuto come una speciale corrente del buddismo. L’opera contiene detti dei maestri Chan e notizie sulla loro attività. L’autore spesso invoca l’autorità di certe precedenti storie del Chan, che però sono andate perdute, tanto che se ne conoscono solo i titoli.

La seguente citazione degli antichi testi cinesi del buddhismo Chan, ci introduce alla figura di Bodhidharma: “Bodhidharma, il maestro della Legge (dharma), era il terzo figlio di un grande re dell’India meridionale (Madras), nei paesi occidentali. (rispetto alla Cina, l’India si trova ad occidente) Era un uomo dall’intelligenza meravigliosa, lucida e vasta. Penetrava a fondo tutto ciò che imparava. Desiderando perfezionare la conoscenza della dottrina buddista del Mahayana e coltivare i semi della santità, lasciò la sua veste bianca di laico (grhastha) e indossò la veste color zafferano dei monaci (sannyasi). Iniziò la pratica della contemplazione e della pace interiore, avendo compreso la transitorietà delle cose mondane. Era sincero all’interno come all’esterno; con le sue virtù rappresentava un modello per il mondo. Si addolorava molto per la decadenza dell’insegnamento originale del Signore Buddha nelle regioni lontane. Infine decise di viaggiare per terra e per mare, di andare in Cina e di predicare la vera dottrina spirituale nel regno di Wei. Tutti coloro che avevano una vocazione spirituale si raccolsero intorno a lui pieni di venerazione, mentre coloro che non avevano nessuna capacità di elevazione, parlarono di lui in modo calunnioso”.

Prima di entrare nella vita monastica, in India, Bodhidharma era un principe di nome Bodhitara, originario di Kancipura (Xing-Chi) che a quel tempo era una piccola ma prospera provincia buddista a sud di Chennai (Madras), terzo figlio del re Sugandha, sovrano della dinastia Syandria, un piccolo regno della provincia di Madras, nel sud dell’India. Nato in un periodo di tumulto, in cui l’India era devastata dagli Unni provenienti dal nord, come membro di una famiglia reale di ksatriya, Bodhitara ricevette un’educazione militare, nell’arte marziale vedica, allora chiamata Kalari-Payat, e l’addestramento necessario per succedere un giorno al trono di suo padre; fu questo il motivo per cui entrò in contatto col buddismo. A quei tempi come abbiamo visto, erano i buddisti che favorivano la diffusione del sapere e fondavano vere e proprie università in cui, accanto al buddismo e alla dottrina vedica, venivano insegnate anche materie le accademiche.

Bodhitara lasciò le comodità della vita di palazzo ancora bambino per entrare in monastero, dove diventò discepolo di Sri Prajnatara-luo, il 27° patriarca successore di Mahakasyapa, il primo discepolo di Sakyamuni Buddha, maestro della scuola Sarvastivada (lett. “Realtà esistenziale”), una delle scuole proto-Mahayaniche emerse dalla corrente Theravada. Bodhitara ricevette il nome spirituale di Bodhidharma dal suo maestro e alla fine del periodo di formazione, gli chiese: “Adesso che ho assimilato completamente i tuoi insegnamenti sul Mahayana Tripitaka, in quale direzione devo recarmi per diffonderli?”. Sri Sri Prajnatara-luo gli disse: “Cathy (lett. ‘Cina’ in lingua pali) è esattamente dove devi andare”. E poi aggiunse: “Una volta arrivato a Cathy, trascura la parte meridionale, perché il monarca di quelle province è una persona troppo ambiziosa e quindi contraria al buddhismo”.

Probabilmente la missione di Bodhidharma in Cina consisteva nell’assistere o succedere al suo famoso contemporaneo Bodhiruci. Fu così che Bodhidharma s’imbarcò e dopo tre anni di difficile viaggio via mare, approdò a Canton (Guang-Zhou) in Cina, dove fu accolto dal prefetto di quella città: Xiao-Ang, che informò subito l’imperatore a Jin-ling (Nan-jing), la capitale imperiale della dinastia Lian (502-557). L’imperatore inviò subito un messaggero a Canton, per invitare Bodhidharma a Jin-Ling. Cordiale verso il suo ospite indiano, Lian-Wu-Di gli concesse immediatamente udienza, come precedentemente aveva fatto con altri insegnanti buddisti.

L’incontro con l’Imperatore Lian-Wu-Di (502-549)

Secondo gli “Annali della trasmissione della lampada”, la prima personalità a cui Bodhidharma predicò al suo arrivo in Cina, fu l’imperatore Lian-Wu-Di, grande protettore del buddismo, considerato l’Asoka della Cina. Dopo la morte del maestro Prajnatara, Bodhidharma divenne il suo successore spirituale e fu nominato 28° patriarca del buddhismo Mahayana, mentre l’imperatore era un seguace del buddismo Hinayana, perciò fin dal loro primo incontro si trovarono in disaccordo sulle rispettive ottiche religiose. Le divergenze dottrinali li spinsero in accese polemiche in tutti i loro incontri successivi e ciò convinse il patriarca, che difficilmente avrebbe potuto diffondere con successo il buddhismo Mahayana in quell’impero.

Secondo gli “Annali”, il colloquio si svolse nel modo seguente. L’imperatore Wu chiese a Bodhidharma: “Dall’inizio del mio regno ho fatto erigere molti templi, ho fatto trascrivere tanti libri Sacri e ho aiutato numerosi monaci; quale pensi che sia il mio merito?” – “Proprio nessun merito, Maestà!” rispose Bodhidharma. “Perché?” chiese stupito l’imperatore. “Tutte queste sono opere d’ordine inferiore” rispose in modo significativo Bodhidharma, “e costringono il loro autore a rinascere sui pianeti celesti o sulla terra, luoghi di miseria dove si susseguono ripetutamente la nascita e la morte. Queste cosiddette ‘opere pie’ nascondono le tracce di aspirazioni materiali che come le ombre accompagnano gli oggetti. Malgrado le apparenze non sono altro che illusioni. Il vero atto che procura il merito eterno è basato sulla sapienza pura, è perfetto e misterioso, la sua vera natura è al di là della portata dell’intelletto umano, perciò nessuna opera pia mondana è sufficiente a conferire un tale merito”. Allora l’imperatore Wu chiese a Bodhidharma: “Qual è il primo principio della Santa dottrina?” – “E’ insondabile, Maestà, e indescrivibile, definirlo Santo non è sufficiente a darne l’idea completa” rispose Bodhidharma. “Allora chi è colui che mi sta dinnanzi?” chiese l’imperatore. “Non lo so, Maestà!” rispose infine Bodhidharma. Il colto e pio imperatore non seppe cogliere l’ispirazione dell’atteggiamento del patriarca, che perciò decise di lasciare i domini imperiali.

Viaggio verso Shaolin

Bodhidharma decise di recarsi nel nord della Cina e mentre usciva dalla città di Jin-Ling passò da Yuhuatai in periferia, dove Sheng-Guan un rinomato monaco buddhista cinese, stava predicando alla gente. Bodhidharma si fece largo tra la folla fino a trovarsi di fronte a Sheng-Guan e durante il discorso, inavvertitamente annuiva nel sentire esporre appropriatamente gli insegnamenti di Buddha e scuoteva la testa quando gli sembrava che l’oratore deviasse dai principi buddhisti. Sheng-Guan si accorse e all’ultimo segno di disapprovazione di Bodhidharma, s’irritò e gli chiese: “Perché continui a scuotere la testa mentre parlo?” Bodhidharma pensò che per il bene di Sheng-Guan era meglio evitare una discussione pubblica, perciò preferì continuare il suo viaggio. Intanto Sheng-Guan, informato dell’identità del patriarca indiano, si pentì del proprio comportamento e decise di raggiungerlo per scusarsi.

Bodhidharma raggiunse la riva sud del fiume Yang-tse, ma non trovò né barche, né ponti, né persone a cui chiedere informazioni. Preoccupato e sul punto di proseguire lungo la riva, Bodhidharma vide una donna anziana seduta all’ombra di un albero, vicino ad un fascio di bastoni, che gli faceva cenno di avvicinarsi. Senza indugio Bodhidharma si avvicinò e inchinandosi rispettosamente gli chiese: “Signora c’è qualcosa che posso fare per te?”. La donna rispose: “Non pensi che sia meglio chiedermi invece di aiutarti a guadare il fiume?” – “Signora, come sai che voglio attraversare il fiume?”. – “Prendi uno di questi bastoni, adagialo sulle acque del fiume e salici sopra, perché è in grado di trasportarti sull’altra sponda, sano e salvo” rispose la signora allo stupito Bodhidharma. Sorridendo la donna porse un bastone a Bodhidharma, che lo accettò inchinandosi in segno di rispetto. Poi si recò al fiume e distese il bastone sull’acqua, che sotto i suoi occhi crebbe istantaneamente in larghezza e lunghezza, fino ad assumere le dimensioni di un grosso ceppo. Bodhidharma salì sul ceppo che ai suoi occhi sembrava diventato un drago volante e partì raggiungendo l’altra sponda in poco tempo. 

Sheng-Guan nel frattempo era giunto sul posto e aveva visto tutto, perciò senza chiedere il permesso della donna, prese uno dei bastoni e imitando il patriarca lo gettò nel fiume, salendovi fiducioso. Ma contrariamente alle sue aspettative, affondò insieme al bastone. Riuscendo a fatica a mettersi in salvo sulla riva, avvicinò la donna in un sentimento di collera e le chiese: “Signora, ho fatto qualcosa che ti ha offeso? Perchè mi hai fatto questo brutto scherzo? Hai dato al monaco un bastone magico per attraversare il fiume e a me un bastone maledetto che quasi mi uccide. Il tuo scherzo mi ha quasi fatto annegare. Adesso mi devi chiedere scusa”. Guardando pacificamente il suo accusatore, la donna disse: “Quel monaco mi ha rispettosamente chiesto di aiutarlo ad attraversare il fiume, perciò gli ho dato un bastone magico come hai potuto vedere, ma tu non mi hai chiesto niente e mi hai rubato il bastone senza rispetto. Come potevi aspettarti che anche il tuo bastone fosse dotato dei miei poteri mistici? Inoltre perché dovrei chiedere scusa ad un monaco buddista che mi ha derubato? Dovresti vergognarti di aver fatto qualcosa che si oppone agli insegnamenti di Buddha. Il principio buddista del vinaya (lett. ‘Umiltà’), per quanto ne so, non permette mai ad un monaco di rubare o d’essere presuntuoso”. Sheng-Guan si vergognò molto di ciò che aveva fatto, perciò si allontanò per tornare alla capitale imperiale. Dopo qualche passo, si voltò e con sua sorpresa vide che la donna era improvvisamente scomparsa, perciò si convinse che doveva essere una divinità apparsa in spoglie umane.

Ancora oggi nel monastero Shaolin, è conservata una stele su cui è incisa l’illustrazione di Bodhidharma che attraversa lo Yang-tze su una canna. Il patriarca proseguì a piedi fino alla provincia di Henan e raggiunse il monastero buddihsta di Shaolin sul monte Song, tra il 520 e il 527 d.C. Quell’ambiente piacque al patriarca, che lo definì “Sukhavati”, una terra pura, un luogo santo, favorevole al suo desiderio spirituale di ottenere l’illuminazione, perciò vi si stabilì.

Meditazione nella grotta del monte Song

Fin dal momento che giunse in Cina, Bodhidharma cercò di esporre le sue concezioni spirituali, ma si scontrò con un’assoluta incomprensione e i suoi primi incontri con gli eruditi cinesi lo delusero profondamente. Egli disapprovò vigorosamente la tendenza che aveva notato negli ambienti buddisti, dove si rivolgeva l’interesse solamente verso aridi sofismi filosofici, e giunto a Shaolin si proclamò il primo predicatore del Prajna-paramitta-Hridaya Sutra (lett. “Sutra del cuore”, Ban-Rou-Xin-Jing in cinese), ma dopo un po’ di tempo realizzò che solo una piccola percentuale dei suoi seguaci, poteva averne una chiara comprensione. Decise quindi di adattare la sua predica alla mentalità della gente, introducendo un nuovo sistema di buddhismo.

Un giorno, della tarda primavera del 527 d.C., Bodhidharma stava passeggiando lungo il sentiero alle spalle del monastero Shaolin, che conduce alla vicina collina dalle cinque vette colossali, conosciuta come “Collina delle cinque mammelle”. Giunto a metà altezza della collina centrale, scorse una grande grotta con l’apertura esposta a est. La grotta misurava al suo interno, tre metri sia in larghezza sia in altezza ed era profonda sei. A pochi metri dalla grotta, nascosta dalle fronde degli alberi circostanti, c’era un piccolo tappeto erboso. Al patriarca, sembrò subito il luogo ideale per meditare in solitudine sul sistema di predica più idoneo ad elevare il livello spirituale della gente locale. In quella grotta, ogni giorno per più di nove anni, Bodhidharma osservò un rigido programma spirituale di meditazione, intervallata da esercizi fisici e pasti regolari. Meditando per nove anni di fronte ad una roccia, seduto nella posizione del loto, ad “ascoltare il grido delle formiche”, Bodhidharma lasciò misticamente impressa sulla roccia la sua immagine, così dettagliata che sono ancora visibili le pieghe del suo vestito. La comunità monastica di Shaolin chiama questa effige, ora esposta nel padiglione Guan-yin-Dian, “L’immagine di Bodhidharma in meditazione” e la grotta Damo Tong, “La grotta testimone della contemplazione creativa di Bodhidharma”. Per questa gloriosa impresa fu soprannominato “il brahmana del pi-kuan”, “il sacerdote della contemplazione del muro”.

Al suo arrivo, nel monastero Shaolin vivevano soltanto due giovani monaci, molto sinceri nella ricerca spirituale, chiamati Tao-Yih e Shen-Guang, Ogni giorno il debole e malaticcio Shen-Guang, saliva alla grotta del monte Shao-shi per supplicare il patriarca di illuminarlo sulla Verità Suprema, ma Bodhidharma non gli dava ascolto. Le prime volte che cercò l’attenzione del maestro, lo trovò rivolto verso la parete della grotta, assorto in meditazione dal mattino alla sera. Shen-Guang, ricordando che tutti i santi del passato dovettero superare grandi prove prima di essere accettati dal loro maestro spirituale, non si scoraggiò e per dimostrare la sua lealtà e determinazione, continuò ad aspettare pazientemente nella neve fuori dalla grotta, sperando che Bodhidharma infine lo accettasse. Quando il maestro lo vide per la prima volta, disse: “Non accetto discepoli dal fisico debole”, e per rinvigorirlo gli insegnò i “Diciotto esercizi delle mani di Luohan” (Shi-pa-Luohan-shou). Dopo un anno di pratica, Shen-Guang chiese al maestro di istruirlo ulteriormente. Bodhidharma disse: “Se riesci a spingermi giù dal mio seggio, ti insegnerò altre cose”. Shen-Guang tentò con tutte le sue forze, ma non vi riuscì, perciò Bodhidharma gli insegnò gli esercizi Yi-jin-jing, per aiutarlo a sviluppare la forza interiore.

L’anno seguente, Shen-Guang, ormai pieno di forza e vitalità, chiese al maestro nuovi insegnamenti, ma Bodhidharma disse: “Gli uccelli fuori dalla caverna fanno troppo rumore perché tu possa imparare bene”. Shen-Guang cacciò via gli uccelli, che però tornarono non appena si allontanò. Allora con la forza interiore ruppe il grosso ramo su cui si erano posati gli uccelli, che però volarono sulla cima dell’albero. Mentre Shen-Guang rifletteva su cosa fare, Bodhidharma servendosi dei suoi poteri mistici, provocò una bufera che mise in fuga gli uccelli. Poi Bodhidharma insegnò a Shen-Guang il Chan, la meditazione. Dopo tre anni di pratica, Shen-Guang tornò dal maestro per avere altre istruzioni, ma Bodhidharma lo evitava. La notte dell’8 dicembre, sebbene nevicasse molto forte, Shen-Guang attese lo sguardo misericordioso del maestro stando in piedi fuori dalla grotta, finché il sole del mattino colorò di rosa la neve, che gli arrivava alle ginocchia. Egli fu in grado di sopportare il freddo grazie al suo allenamento negli esercizi dell’Yi-jin-jing. Il maestro infine lo notò e gli chiese: “Cosa posso fare per te?” Shen-Guang disse: “Sono venuto per ricevere le vostre inestimabili istruzioni, maestro. Vi prego, aprite le porte della vostra misericordia e porgendo la vostra mano, salvate questo povero mortale sofferente”. Bodhidharma rispose: “La sublime conoscenza trascendentale, può essere capita solo dopo aver praticato una rigida disciplina, sopportando ciò che è più pesante da sopportare, praticando quello che è più difficile da praticare. Agli uomini ignoranti e poco determinati, non è dato di comprenderla”. 

Shen-Guang interpretando queste parole, si amputò il braccio sinistro con una spada che portava, e lo offrì al maestro come prova della sua sincerità. Bodhidharma disse: “Questa conoscenza non devi cercarla all’esterno di te”. Shen-Guang chiese: “La mia mente non è in pace. Vi prego maestro, datele la pace”. Bodhidharma rispose: “Presentami la tua mente e io le darò la pace”. Shen-Guang disse: “L’ho cercata per anni e non l’ho ancora trovata!”. Il patriarca affermò in modo conclusivo: “D’ora in poi la tua mente avrà definitivamente la pace che cerca!”. In quel momento Shen-Guang raggiunse l’illuminazione, il suo tun-wu, e Bodhidharma gli diede l’iniziazione spirituale chiamandolo: “Hui-Ke”, “Colui che Trasmette la Saggezza”.

Questo dialogo rappresenta il primo esempio del metodo d’istruzione caratteristico del Chan. La letteratura del buddhismo Chan si fonda su simili aneddoti, detti gong-an, il cui scopo è quello di provocare una consapevolezza improvvisa.

I discepoli di Bodhidharma considerarono un’immensa fortuna avere un tale maestro spirituale nel loro paese e studiarono con lui per diversi anni. Essi lo servivano con grande reverenza, ponendogli domande rilevanti per essere illuminati e osservavano scrupolosamente le sue istruzioni, proprio come ingiungono le Scritture: “Cerca di conoscere la verità avvicinando un maestro spirituale, ponigli delle domande con sottomissione e servilo. L’anima realizzata può rivelarti la conoscenza perché ha visto la verità”. Damo commosso dalla loro sincerità, li guidò sul sentiero della santità, insegnando loro la meditazione sull’Essere Supremo, i mezzi adeguati (upaya) necessari per stabilirsi sulla piattaforma spirituale e l’etichetta delle persone sante (sadacara), per vivere in armonia con la natura.

Fondazione del buddismo Chan e dello Shaolin Kung-fu

Dopo la sua illuminazione nel 536 d.C., Bodhidharma emerse dalla contemplazione spirituale e tornò al monastero Shaolin, dove impartì ai monaci, l’insegnamento “del corpo e della mente” secondo il dharma del Buddha, ossia i principi teologici del buddhismo indiano Dhyana, nella sua versione cinese, Chan. Nel sistema filosofico vedico Astanga-yoga (lett. “Lo yoga in otto fasi”) di Patanjali-Muni, la settima tappa è il dhyana o meditazione, che il Signore Buddha adottò come mezzo per realizzare il Sé e che per la misericordia di Bodhidharma diventò il buddismo della Cina. Il suo messaggio fu un geniale adattamento del buddismo indiano alla mentalità cinese, basato sull’autorità delle scritture antiche, come il Vajra-samadhi-Sutra e il Lankavatara-Sutra, compilate dai primi patriarchi buddisti dell’India. Il Chan è dunque parte integrante dell’antico contesto spirituale indiano.

I principi del Chan si dividono in due: 1) i princìpi morali e 2) i princìpi spirituali. Il pi-kuan è il controllo della mente; i quattro atti rappresentano la giusta condotta; per armonia con la natura s’intende l’astenersi dal giudicare o criticare gli altri; infine la rinuncia è il mezzo (upaya).

Nei suoi commenti sul Chan, Tao-Hsuan, l’autore delle “Biografie”, considera il “Tai-cheng pi-kuan”, la contemplazione del muro, la cosa più importante che Bodhidharma abbia introdotto in Cina e per questo fu soprannominato “Il brahmana del pi-kuan”. Nel Testo intitolato: “Giusta trasmissione della dottrina del Sakhya”, il pi-kuan è interpretato come lo stato di mente in cui “non penetra alcuna polvere dall’esterno” (ceto darpana marjanam). In definitiva il significato della contemplazione del muro è il totale assorbimento nella realizzazione interiore, priva di distrazioni materiali. Intendere il pi-kuan semplicemente come “fissare un muro” sarebbe una vera assurdità. Nelle “Biografie” si legge inoltre che ovunque si recasse, Damo insegnava la sua dottrina contemplativa del Chan, ma poiché la Cina di quell’epoca era troppo affascinata dagli aridi sofismi, non apprezzò il messaggio del patriarca.

In sintesi, il messaggio di Bodhidharma insegnava:
– l’indipendenza dell’esperienza spirituale dalle descrizioni verbali;
– la trasmissione della saggezza spirituale, che non dipende dall’erudizione;
– la visione della propria vera natura;
– il conseguimento dello stato di Buddha;
– il dharma come la caratteristica intrinseca ed essenziale dell’anima.

Secondo Tao-Hsuan, Bodhidharma lasciò numerosi Scritti e detti che sembra circolassero ancora a quel tempo, però l’unico documento autentico del patriarca oggi ancora esistente, è un breve scritto citato sia nelle “Biografie” sia negli “Annali”. A Bodhidharma vengono attribuiti anche altri saggi, raccolti in un volume intitolato: “Sei saggi di Bodhidharma”, due dei quali: “Sulla pacificazione dell’anima” e “Meditazione sui Quattro Atti”, sono ritenuti particolarmente importanti dagli studiosi del buddhismo Chan. Oltre agli Scritti di Bodhidharma, anche il Lankavatara-Sutra, il Vajrasamadhi-Sutra e il Vajracchedika-Sutra illustrano l’insegnamento centrale del patriarca.

Bodhidharma predisse il futuro sviluppo del buddhismo Chan in Cina col seguente gatha:

“Lo scopo originale del mio venire in questo paese
è stato il trasmettere la Legge per la salvezza dei confusi.
Un fiore dai cinque petali si è dischiuso,
e i frutti verranno da se”.

Secondo la tradizione Chan, i cinque petali rappresentano i cinque patriarchi Shaolin che succedettero a Bodhidharma. Bodhidharma lasciò ai suoi discepoli cinesi il compito sviluppare questo seme di vita spirituale, in armonia con la nuova situazione culturale.

Il buddismo Chan, pur conservando inalterata l’essenza dell’esperienza spirituale delle origini, cioè il servizio al Signore Supremo Buddha, ebbe la necessità di introdurre elementi della mentalità cinese come:
– i concetti taoisti;
– l’attitudine pratica;
– una tendenza mistico-romantica;
– e la visione olistica per svilupparsi fino alla configurazione attuale.

I discepoli di Bodhidharma espressero la loro comprensione spirituale con criteri e terminologia cinesi, continuando comunque a riferirsi ai concetti dottrinali del buddismo tradizionale indiano come:
– il Buddha;
– il dharma;
– il Tathagata;
– il nirvana;
– la bodhi;
– il trikaya;
– il karma;
– la trasmigrazione e molti altri.

Bodhidarma fu così riconosciuto come il fondatore dell’Ordine buddhista Chan,il monastro Shaolin è il suo luogo d’origine e Damo il nome datogli dai suoi discepoli. Nel monastero, Bodhidharma introdusse la meditazione seduta (zuo-Chan), che si protraeva per almeno sei ore al giorno, ma i suoi discepoli cinesi che non erano abituati a lunghi periodi d’immobilità, presto caddero vittima dell’intorpidimento fisico e della sonnolenza. Per rinvigorire i loro corpi fragili, il patriarca ideò una serie di movimenti terapeutici basati sui precetti dei maestri indiani, secondo i quali, certi esercizi fisici e respiratori del Raja-yoga e del Prajna-yoga, favoriscono la triplice armonia tra la mente, il respiro e il corpo, prevengono le malattie e frenano le tendenze aggressive della natura umana, elevando lo spirito. Egli chiamò questi esercizi: Tong-zi-gong (lett. “Kung-fu del fanciullo”).

Il suo insegnamento si basava su una mistica attiva e una coscienza innalzata al di sopra degli opposti, in grado perciò di conciliare la passività con l’attività, la quiete con il movimento. È una soluzione che mette equilibrio tra la distraente attività quotidiana e la passività fisica della meditazione seduta. Inoltre quando Bodhidharma giunse a Shaolin, vide che per alcuni monaci era una consuetudine praticare le arti marziali, che però erano ancora lontane dall’essere un sistema di lotta integrale, perciò introdusse la sua conoscenza del Dhanurveda e uno spirito nuovo nel praticare queste discipline, finalizzandole soprattutto allo sviluppo armonico del corpo e della mente. Così fondò il mistico “Shaolin Kung-fu”, un metodo originale d’allenamento, in cui la tecnica marziale è al servizio dello spirito.

Insegnò ai suoi discepoli tre serie di esercizi formativi indiani:
– un nata completo e
– due pratima della pratica del bodhisattva Vajramukti e precisamente il nata del “Leone buddista che gioca a scuola”, più due varianti dette appunto pratima.

In cinese le parole nata e pratima venivano tradotte col termine xing.
– Il nata denominato Astadasa-can o Astadasa-vijaya (lett. “Diciotto sottomissioni” o “Diciotto vittorie”), insegnato a Shaolin da Bodhidharma, nella cultura cinese, divenne noto col nome “Shi-pa-Luohan-shou”, i “Diciotto movimenti delle mani dei santi discepoli di Buddha”;
– mentre le due forme brevi (pratima) di questo xing (nata) erano: “Asthimaja-Parissuddhi” , la tecnica di respirazione buddista per la rigenerazione dei tessuti, catarsi, e cognizione karmica;
– e “Snavas-jala-Nidana Vijapiti”, un metodo speciale per disciplinare l’energia psichica finalizzata alla purificazione, attraverso l’utilizzo di mantra particolari associati alla meditazione.

Il temine cinese per Asthimaja è Xi-sui-jing (lett. “Sutra sul lavaggio del midollo osseo”), mentre per Snavas-jala è “Yi-jin-jing” (lett. “Sutra sul condizionamento dei tendini e dei legamenti”). Attraverso i secoli queste pratiche si fusero con quelle del taoismo e del confucianesimo già esistenti in Cina, dando vita ad una moltitudine di variazioni, rendendo quasi impossibile uno studio accurato delle pratiche originali. Bodhidharma espose gli insegnamenti del buddismo, enfatizzando la coltivazione del corpo e della mente, attraverso l’equilibrata pratica duale di esercizi meditativi statici jing-gong e dinamici dong-gong. Tutti questi esercizi diventarono il fondamento delle arti marziali che resero famoso il Tempio Shaolin. Secondo la tradizione, fu sempre Bodhidharma che iniziò i monaci Shaolin all’uso delle armi, che come abbiamo visto, facevano parte del programma tecnico del Dhanurveda. Ciò è ampiamente dimostrato dalla nomenclatura delle sequenze classiche come: Damo-jian, “La spada di Bodhidharma”; Damo-gun, “Il bastone di Bodhidharma”; Damo-guai, “La piccozza di Bodhidharma”; ecc..

Bodhidharma lascia Shaolin

Nei nove anni che visse a Shaolin, Bodhidharma insegnò il Lankavatara-Sutra, ma deluso nel vedere che i monaci preferivano l’aspetto marziale del suo insegnamento, decise infine di lasciare il monastero.

L’ultima parte della sua vita in Cina è avvolta nel mistero. Alcuni sostengono che fu avvelenato a Shaolin da un monaco invidioso, altri che viaggiò nell’Asia centrale, ed altri ancora che si recò in Giappone. Tuttavia, ciò su cui tutti gli storici concordano, è che visse fino a tarda età. Secondo Tao-Hsuan, egli aveva centocinquant’anni quando morì e la storia popolare dichiara che dopo essere stato avvelenato molte volte, Bodhidharma morì nel 557 sulle rive del fiume di Luo-he, all’età di centocinquant’anni e fu seppellito su Xiong-er-shan (lett. “La collina dell’orecchio dell’Orso”), dove ora sorge un piccolo convento curato da monache. Tre anni dopo la sua morte Song-Yun, un buddista laico incontrò Damo nelle montagne del Turkestan (Cong-Ling), mentre ritornava in Cina indossando soltanto un sandalo, al termine di una missione nell’Ovest per conto dell’impero cinese. Song s’informò sulla destinazione del patriarca, che rispose: “Sto andando al Paradiso Occidentale (l’India)”. Damo inoltre informò Song, che l’imperatore della Cina era appena morto. Quando in seguito Song giunse a Luoyang, seppe che il vecchio imperatore era veramente morto, perciò raccontò del suo incontro col patriarca al nuovo imperatore, che ordinò subito di aprire la tomba di Damo. La tomba era vuota, conteneva solo un sandalo di Bodhidharma, che fu portato al Tempio Shaolin, dove è ancor oggi conservato come sacra reliquia.

Alcuni testimoni affermarono poi di averlo visto recarsi in India, cavalcando una tigre e calzando un solo sandalo. In ogni caso è storicamente accertato che Bodhidharma lasciò il Tempio Shaolin nel 557 e nel suo stupa puspa-samadhi (lett. “Monumento funerario”), si trovano solamente un suo sandalo ed un suo vestito. L’iconografia cinese da quel tempo, raffigurò Damo con un solo sandalo in ritratti e dipinti, particolare associato anche alla tecnica fondamentale dello Shaolin Kung-fu conosciuta come hou-deng-tui (lett. “calcio all’indietro”); e i calzolai cinesi adottarono il patriarca come loro patrono, celebrando annualmente l’anniversario della sua nascita.

Fonte: http://www.shaolintemple.it/shaolin-si/storia-di-bodhidharma/

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