* JACOB BOHME *

(1575 – 1624)

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JACOB BOHME BIOGRAFIA

Jakob Böhme nasce il 24 aprile 1575 a Alt Seidenberg presso Görlitz, nell’Ober-Lausitz (Lusazia), regione della Sassonia orientale al confine con la Slesia. I genitori, contadini agiati provenienti da Altseidenberg, lo avviano a quattordici anni al mestiere di calzolaio, professione che lo accompagna per tutta la vita. Riceve un’educazione e una cultura luterana, che amplia da autodidatta severo mediante letture delle opere della tradizione mistica tedesca del Trecento (Eckhart, Taulero, Suso), oltre ai mistici naturalisti del Cinquecento (Paracelso, J.B. Van Helmont, S. Franck, V. Weigel). Insieme ai mistici, dunque, legge anche opere di alchimia, astrologia e cabala. 

Nel 1594 sposa Catharina Kunschmanns, figlia di un macellaio, con cui vive fino alla morte e da cui ha quattro figli nel periodo tra il 1600 e il 1611. 

Il luteranesimo imperante di allora condanna ogni possibilità di trascendenza diretta e ogni atteggiamento di tipo ascetico o mistico. Eppure, Jakob si trova a vivere esperienze estatiche diverse volte nella sua vita. Una prima, nel 1600, poi nel 1610 e ancora nel 1617. Tali esperienze, coinvolgenti tutto il suo essere fisico e spirituale, hanno la durata di alcuni giorni ciascuna. Egli le vive come esperienze che illuminano la sua conoscenza di Dio più che come un’unione diretta con Dio e ineffabile. Da esse riceve lo stimolo continuo a studiare le Scritture ed approfondire le sue conoscenze, in modo che potessero rendere più esplicite (a parole) le esperienze vissute. 

Egli racconta di aver visto “l’Essere di tutti gli Esseri”, la nascita della Santa Trinità, il mondo divino e quello angelico. Elabora dunque una complessa rappresentazione mistica della realtà che esplicita nella sua prima opera pubblicata, per interesse di un suo estimatore, nel 1612 dal titolo Morgenröte im Aufgang, detta anche Aurora consurgens, ossia Aurora nascente. Il lavoro inizia a circolare all’insaputa dell’Autore, in copie manoscritte, suscitando ben presto la rabbia del pastore protestante di Görlitz, Gregorius Richter, che inizia una feroce persecuzione nei suoi confronti. Oltre a lui, anche altre autorità luterane lo accusano di eresia e per Jakob inizia una serie di lotte tra i suoi oppositori e i suoi sostenitori.

Circa sette anni più tardi Jakob Böhme inizia la pubblicazioni di oltre venti trattati, tra cui: “I tre principi dell’essenza divina” (1619), “Sei punti teosofici” (1620), “Sei punti mistici” (1620), “Quaranta questioni sullo stato originario dell’anima” (1620), “Sulla segnatura delle cose” (1622), “Mysterium Magnum” (1623), “Cristosofia”, o la via in Cristo (1624), “La vita soprannaturale” (1624). Nel 1624 è accolto a Dresda con una certa benevolenza. I suoi scritti sono stampati in Olanda e, tradotti in inglese, hanno un’ampia diffusione in Inghilterra, dove alcuni suoi seguaci fondano addirittura delle comunità a lui ispirate.

In tutti questi anni, egli sopporta con pazienza tutto ciò che gli accade. La dolcezza del suo carattere e la sua pazienza sono raccontate da molte fonti. All’inizio del mese di novembre 1624, consumato dai dolori, predice il giorno della sua morte, che avviene il 17. Alla fine della sua vita terrena, confessa chiaramente la sua fede evangelica dinanzi all’interrogatorio del nuovo pastore Nicola Thomas (Richter era morto in agosto), pur non convincendo buona parte della gente che imbratta e poi distrugge la croce dalla sua tomba.

Riepilogo essenziale del suo pensiero

Gli scritti di Böhme sono stati considerati complessi, oscuri, difficili nella lettura e nella comprensione, a parte alcuni passaggi, che possono essere considerati anche affascinanti. È però possibile enucleare il suo pensiero a grandi linee:

1 – Se desideriamo contemplare ciò che è divino ed eterno, dobbiamo credere che il divino e l’eterno possano rivelarsi nella costituzione stessa dell’uomo, come principio spirituale insito nell’uomo stesso e che non vada cercato altrove;

2 – La Parola di Dio, la Scrittura deve essere interiorizzata, passando dalla “storia all’essenza”: in tal modo si attua la redenzione dell’uomo da parte di Dio e della sua Parola;

3 – Non basta la speculazione teorica sulle cose che appartengono allo Spirito nell’uomo per giungere alla sua comprensione;

4 – L’uomo deve riconoscere l’esistenza di un principio divino al suo stesso interno, arrivando fino al fondo della propria anima, scendendo in un abisso che è la Divinità stessa (che in realtà è senza fondo per garantirne la trascendenza);

5 – L’uomo che desidera avvicinarsi a Dio, penetrando sempre di più nell’abisso, deve arrendersi a Dio, rimettendo a Lui la propria volontà, consegnando se stesso alla divinità. La volontà che non si consegna non permette di incontrare Dio e la sua Sapienza: in tal modo non riusciamo a vedere Dio, ma la propria volontà malata riesce a vedere soltanto il mondo e il diavolo (il bene pervertito);

6 – Il modo in cui Dio può essere percepito nella sua Parola e nella sua Essenza è che l’uomo giunga ad uno stato di unità con se stesso, abbandoni ogni cosa che riguardi il suo sé personale (beni, denaro, padre e madre, fratelli, sorelle, moglie, figli, il proprio corpo e la propria vita) e che tale sé divenga un nulla per lui; deve cedere ogni cosa e divenire povero come un uccello del cielo, senza nessun nido per il proprio cuore;

7 – Ciò non significa che la persona debba abbandonare la propria casa e i propri familiari, uccidersi o vendere le proprietà, ma soltanto smettere di pretendere tutte queste cose come possesso, uccidendo o annichilendo soltanto la propria volontà;

8 – L’uomo che ha ceduto se stesso a Dio entra nell’unione divina con Cristo, è rigenerato da Cristo (nato nuovamente in lui) così da vedere Dio stesso, parlare con Dio, conoscere veramente la sua Parola e la sua Essenza. 

FONTE: http://www.mistica.info/unjakob.htm

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