* RAPHAEL LONNÉ *(1910 – 1989) |
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![]() Raphaël Lonné, nacque il 4 maggio 1910 a Montfort-en-Chalosse (Landes), fu un pittore autoctono francese. Iniziato, secondo lui, da una sessione di spiritualismo, il suo lavoro è intuitivo e visionario, ed è soprattutto rappresentato ed esibito nei circoli dell’art brut. BIOGRAFIA Raphaël Lonné, quartogenito di una famiglia di mezzadri, fu costretto a lasciare gli studi all’età di dodici anni. Visse un’infanzia difficile a causa delle sue cagionevoli condizioni di salute e della sua personalità timida, riservata, introversa e complessata: di frequente era oggetto di bullismo da parte dei suoi compagni di classe. Dopo vari lavori fece il postino nel suo villaggio, poi partì per Bordeaux nel 1937 dove lavorò come conduttore di tram, e custode-autista, infine fu operaio presso l’Ospedale Pediatrico. Sensibile per natura, Lonné compose anche poesie, partecipò a gruppi musicali e diresse persino un piccolo teatro. Nel 1946 dopo la seconda guerra mondiale, tornò al paese natio e trovò un posto di postino ausiliario a Biscarrosse, che ricoprì per 20 anni. In quel periodo conobbe i coniugi Perrin, ferventi seguaci delle dottrine kardeciane, attraverso cui approfondì la conoscenza dello spiritismo e della contattologia medianica. Fu infatti durante una seduta spiritica che l’artista cominciò a disegnare automaticamente e rapidamente cerchi, spirali ed arabeschi (alcune delle forme grafiche tipiche degli artisti medianici). LAVORO Fu lo stesso artista a fornire, nel corso di una intervista rilasciata alla studiosa Paola Giovetti, esperta di fenomeni di arte medianica (la quale ebbe modo di studiarlo da vicino), una descrizione delle sue sensazioni durante la manifestazione dei fenomeni di automatismo creativo: “Dopo quella sera ho continuato a disegnare spontaneamente, senza alcun controllo. Ero come un automa, all’inizio… E poi avevo sempre più voglia di disegnare. Finito il mio turno di postino, la sera mi mettevo a coprire di segni dei piccoli fogli, prima a matita, poi a penna; in seguito a guazzo, a olio, utilizzando anche tecniche miste. Lavoravo a volte fino all’una del mattino, ma non ero mai stanco. Non so più in che stato d’animo ero in quei primi tempi, ma di certo non mi sentivo posseduto. Il disegno mi ha sempre disteso e rilassato. Col tempo, comunque, il mio disegno è diventato meno automatico e molto minuzioso…” (Giovetti, 1982, p. 145). La tecnica preferita dall’artista era il disegno a penna, attraverso la quale realizzava piccoli disegni del formato di una cartolina, utilizzando uno stile e una struttura formale ricorrenti anche in altri artisti medianici, soprattutto per quanto riguarda la miniaturizzazione e duplicazione degli elementi grafici: un groviglio solo apparentemente informale di linee, da cui emergono progressivamente volti (soprattutto femminili), figure stilizzate, animali, fiori, simboli e scritte misteriose. Queste ultime, in particolare, somigliano a “pseudoscritture”, ossia a delle grafie che risultano però essere incomprensibili. Anche questo artista, come altri, non conosceva in anticipo ciò che avrebbe disegnato, ovvero non aveva alcun progetto dell’opera, ma si lasciava guidare dai suoi automatismi per poi scoprire alla fine il risultato del suo lavoro. Al contrario di altri artisti medianici, che spesso ricevono (attraverso intuizioni o scrittura automatica) una spiegazione delle proprie opere, questo artista non riusciva a spiegare il significato dei suoi disegni, né a dare loro un titolo. L’esecuzione dell’opera seguiva un ordine ricorrente: l’artista iniziava dalla parte in alto sinistra del foglio, per poi concludere in basso a destra, disegnando come se scrivesse. L’assimilazione del meccanismo esecutivo a quello della scrittura, lo portava spesso a produrre file di disegni impilate l’una sull’altra, come se fossero delle righe di scrittura, che l’artista definiva “poesia grafica o disegno poetico”. Come affermato dallo stesso artista, se il disegno si interrompeva all’improvviso, quando riprendeva non veniva meno il flusso creativo iniziale: “Ritrovo subito l’ispirazione in quanto non sono io ad avere il programma: si tratta sempre di un impulso che viene da qualcosa che mi anima. Automaticamente ritrovo subito questo equilibrio” (Giovetti, 1982, p. 146). A proposito del suo processo creativo, lo stesso artista riferiva: “Sono assolutamente tranquillo e sereno, poso la mano sul foglio e mi lascio andare, come quando scrivo poesie. È come un sogno che si materializza. E per tutto il tempo che disegno provo un sentimento di gioia, mai di possessione. Sono sempre calmo, tranquillo, non mi sento mai costretto ad andare di fretta… Non rifiuto affatto l’idea di essere aiutato (corsivo dell’autrice del testo), ma se è così non mi interessa sapere chi mi guida. Non voglio invocare alcun aiuto, niente. Prendo quello che mi viene dato, partecipo a quello che mi viene suggerito. Ma non invoco niente. Credo di essere aiutato perché lo stato di grazia in cui mi trovo quando disegno non può che essere il risultato di radiazioni che mi vengono inviate e che liberano il mio pensiero, facendomi sentire lieto, felice… Tutto è spontaneo, niente è elaborato da me, io non partecipo affatto alla composizione. Non ho mai bisogno di cancellature, di fare ritocchi… In questi trent’anni il mio stile e il mio modo di disegnare sono cambiati; non sono più costretto all’automatismo quasi integrale delle prime creazioni, ho acquisito una relativa indipendenza e una certa padronanza nell’esecuzione. Tutte le mie opere sono comunque sempre concepite e realizzate spontaneamente senza preparazione preliminare né alcun ritocco o cancellatura; cosa che mi permette di mantenere pienamente il mio credo spiritualista e la mia convinzione di avere ‘una certa guida’, una specie di angelo custode che mi sostiene nei miei lavori e mi protegge nelle mie prove terrene…” (Giovetti, 1982, pp. 146-147). In questo artista, emergeva un senso di serenità che è lontano dal senso di costrizione, coazione o “possessione” riscontrato in altri artisti medianici, i quali si sentono in qualche modo “forzati a creare”. E tale sensazione emotiva si ripercuoteva anche sulla sua tecnica esecutiva che, pur essendo dettata da automatismo, non contemplava l’eccezionale velocità o il livello di dissociazione creativa riscontrato in altri artisti medianici, che di solito operano in uno stato modificato di coscienza. Come quasi tutti gli artisti medianici, anche Lonné non volle mai trarre profitto delle sue opere vendendole: preferiva regalarle ai suoi amici dell’ambiente spiritualista: “Credo anche che i miei disegni facciano del bene a chi li possiede, che diano loro un sollievo mentale e sentimentale…” (Giovetti, 1982, p. 146). Offrendo le sue opere a parenti, amici o conoscenti, Raphaël Lonné acquisì prima fama locale, poi fu notato dal dottor Gaston Ferdière che lo riferì a Jean Dubuffet nel 1963. Quest’ultimo, entusiasta, acquisì più di 450 disegni di Lonné per la sua collezione di art brut, e mantenne una corrispondenza continua con l’artista. Dal 1971 iniziarono le mostre a Bordeaux, Dax, Biarritz e Parigi. Fino ad allora restio a commerciare il suo lavoro, decise di farlo, cosa che gli permise di acquistare una casa nel bacino di Arcachon, dove si ritirò con la moglie Cyprienne nel 1973. Raphaël Lonné morì il 12 novembre 1989 a Bordeaux. Luoghi espositivi permanenti– Collezione di Outsider Art – Losanna Bibliografia– Collettivo Art Déco, Selezione delle Compagnie de l’Art brut, vol. 23, t. 1, Parigi, Museo delle Arti Decorative,1967, 153 pag. |
Fonte: Arte Medianica – Una Nuova Ipotesi di Ricerca di Giuseppe Galletta
Fonte: https://fr.wikipedia.org/wiki/Rapha%C3%ABl_Lonn%C3%A9
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